Tradurre nell′Europa del Rinascimento

Il progetto

 

Il principale obiettivo di questo progetto è una storia della traduzione «orizzontale» (FOLENA 1991) nel Rinascimento europeo, studiando le teorizzazioni e le riflessioni sincroniche sulla traduzione, (a partire in particolare dal problema della traduzione della Bibbia – su cui cfr. MESCHONNIC 1999 – ma con espansione anche alle tematiche delle traduzioni di testi filosofici e scientifici), le traduzioni del canone letterario europeo, i singoli traduttori: una storia «complessiva» (vale a dire che interessi non solo le singole nazioni e le singole lingue vernacolari ma l’intero quadro geo-linguistico europeo) che finora manca nella letteratura critica. Il progetto punta inoltre a costituire una grande banca dati di traduzioni, traduttori, tipografie e tipografi, e a porsi come punto di riferimento europeo per i gruppi di ricerca nazionali (come, ad esempio, per l’inglese, «Renaissance Cultural Crossroads» dell’Università di Warwick).
Gli studi sulla traduzione sono stati per molti aspetti una branca caratteristica degli studi linguistici e letterari (almeno) degli ultimi cinquant’anni (basta rinviare a FRANK, KITTEL, GREINER 2004, 2008, 2011 e KITTEL 1988). Non è certo il caso di riassumere o riprendere alcuno di questi studi ma è bene partire dal capitale (e tuttora insuperato) lavoro FOLENA 1991 e dalla sua affermazione che «[…] all’inizio di nuove tradizioni di lingua scritta e letteraria, fin dove possiamo spingere lo sguardo, sta molto spesso la traduzione: sicché al vulgato superbo motto idealistico in principio fuit poëta vien fatto di contrapporre oggi l’umile realtà che in principio fuit interpres, il che significa negare nella storia l’assolutezza o autoctonia di ogni cominciamento».
Oggetto di studio su cui ci si intende concentrare non sono quindi tanto i volgarizzamenti due-trecenteschi dai classici greco-latini, già molto studiati (cfr. LUBELLO 2011, frosini 2014 e, per l’area italiana, il corpus dei volgarizzamenti raccolto dal gruppo DiVo a Firenze presso l’Accademia della Crusca), o le traduzioni umanistiche (cfr. BERNARD-PRADELLE, LECHEVALIER 2012), le quali presuppongono una gerarchia indiscutibile che lascia i volgari in posizione ancillare, quanto le traduzioni cinquecentesche e secentesche, legate allo sviluppo della stampa e all’acquisita autonomia delle lingue vernacolari, in sostanza il periodo compreso fra il declino dei volgarizzamenti (e il superamento della crisi dell’«Umanesimo latino», basato su una logica che consisteva ancora nel recupero di un patrimonio concettuale e lessicale, grazie alla traduzione dal greco in latino) e il dibattito secentesco sulle «belles infidèles», a partire da Gilles Ménage.
Il presupposto del progetto è il convincimento che l’unità culturale europea si costituisca in epoca umanistica e rinascimentale sulla diffusione e circolazione in traduzione di un numero tutto sommato ben definito (non minimo ma neppure enorme) di “grandi opere” di ogni nazione, un corpus di “grandi testi” (esemplificativamente: Cervantes, Lope, Calderon; Castiglione, Machiavelli – per cui si dovrà fare riferimento al progetto: http://hyperprince.ens-lyon.fr/hypermachiavel -, Ariosto, Guicciardini, Tasso; Shakespeare, Milton; Commynes, Bodin, Montaigne; Lipsio), non solamente “letterari” (con possibilità di ampliamento soprattutto per aree disciplinari: testi filosofici, storici, giuridici, di ambito latamente scientifico, o testi artistici come il Von menschlicher Proportion di Albrecht Dürer del 1528, tradotto in latino e di qui in italiano e edito a Venezia nel 1591) ma costitutivi il canone delle diverse nazioni e lingue europee nel Rinascimento (inteso in ampia escursione cronologica fra la seconda metà del Quattrocento e – questo vale soprattutto per l’area inglese – la metà del Seicento). Con una “appendice”, che dovrebbe riguardare testi «in volgare» anche trecenteschi ma di larga fortuna rinascimentale: per un esempio di area italiana, basti pensare a Petrarca o al Decameron (tradotto in francese già nel 1414, nel 1485 e nel 1545 da Le Maçon).

La traduzione ha un ruolo fondamentale nella storia delle trasformazioni, rimodellamenti, relazioni intertestuali che caratterizzano la cultura europea. Anche nelle intenzioni della Commissione Europea – che ha posto larga attenzione al multilinguismo, di cui la traduzione stessa è una espressione e per cui cfr. http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=celex:52008DC0566 – è un tema che, anche oggi, coinvolge autori, editori, critici, storici della cultura e che – oggi come nel Rinascimento – è importante per la salvaguardia dell’identità e le competenze nella propria lingua madre, per potenziare la conoscenza del patrimonio letterario dei diversi paesi e promuovere il dialogo interculturale: la traduzione mette in rilievo le differenze tra le culture, le esalta, permettendo di comprendere la ricchezza dell’«altro», e spesso è un luogo di tutela della lingua d’arrivo, alla quale i traduttori spesso si conformano.
Per quanto paradossale è sostanzialmente vera l’affermazione di ECO 2008 (ma cfr. ECO 2003) che «la lingua dell’Europa è la traduzione», a patto di sfumarla con l’assunto di Meschonnic 1999 secondo il quale storia della traduzione e storia dell’Europa sono inseparabili: «l’Europe ne s’est fondée que sur des traductions», e soltanto se si aggiunge che «elle ne s’est constituée que de l’effacement de cette origine toute de traduction». Nelle parole di Meschonnic si legge un richiamo non solo a considerare le traduzioni ma a non dimenticare il processo secondo il quale esse sono state subordinate e sono state concepite come ancelle della letteratura, da non prendere in considerazione di per sé stesse. Tuttavia tale processo non ha prodotto paradossalmente (o non ha prodotto soltanto) una dimenticanza delle traduzioni (e dei traduttori) ma è la fonte di una tendenza forte a non trattarle più in quanto traduzioni bensì in quanto testi autonomi, contributi all’arricchirsi della lingua d’arrivo, non più concepita tuttavia come “lingua d’arrivo”, secondaria (per lo meno cronologicamente), ossia dipendente da un altro percorso che porta ad essa partendo dalla lingua originale. In una forma di omaggio non detto, o di diniego, le traduzioni risultano in questa prospettiva come dei testi “nuovi”, altrettante mura protettrici e nuove per lingue giovani e ancora fragili, ma mura di cui sono state tolte le impalcature perché non si veda più il lavorio del traduttore.
Nel corso dell’ultimo secolo si sono indagati sia traduzioni e traduttori individuali sia il fenomeno della traduzione nella sua interezza e il suo ruolo nelle singole culture europee, nella politica e nell’ideologia della costituzione dei grandi stati nazionali o delle istituzioni imperiali: si può forse sostenere che la nascita del moderno concetto di nazione, la creazione dello stato moderno, siano coincise con una rinnovata attenzione nei confronti della traduzione, ma non solo in nome di un’adeguazione lingua/stati. Infatti la traduzione può essere vista nel suo insieme sia come un baluardo di una cultura singolare sia come un ponte con la cultura altrui. Tale logica un po’ ossimorica ha anche avuto un suo ruolo nella costituzione lungo tutto l’800 del campo specifico della letteratura (di fronte alla retorica) e nella costruzione della figura dell’auctor moderno, la cui universalità non si fonda più sull’universalità presunta del proprio strumento linguistico.
L’inserimento e l’appropriazione di un testo da parte di una cultura diversa finisce infatti per avere rilevanti conseguenze culturali. Che si tratti o meno di un testo letterario, di un testo canonico nelle lingue classiche o nei volgari, di opere contemporanee o meno, la traduzione finisce per connotare la cultura nazionale della lingua di arrivo e si deve pertanto studiare come Übersetzungskultur, per usare un termine di Frank 1988, che definisce la traduzione non più semplicemente come un atto di omaggio ad un originale che si ritiene degno di lettura o di imitazione ma come una cosciente trasposizione in un nuovo contesto. Il sapere non ha più un’origine determinata, ma è parte di un processo in evoluzione e policentrico. Nel momento in cui le nazioni costruiscono la loro identità attraverso la lingua e il potere politico, necessitano anche di un mito fondativo, un fondamento culturale supportato da una biblioteca intellettuale in grado di proporre una forma di integrazione e assimilazione anche della cultura altrui: la creazione del mito è di fatto accompagnata da una forma di trasmissione di testi che si risolve in un’appropriazione culturale. Il paradosso è solo apparente: la nazione costruisce parte della propria identità culturale attraverso un atto di traduzione.
È solo attraverso l’analisi contemporaneamente singolare delle peculiari realtà linguistiche, delle individuali culture nazionali, e comparata in un contesto multilinguistico europeo, che è possibile valutare e dare un senso più ampio delle conseguenze culturali delle traduzioni.
Vari fenomeni di lunga durata spiegano perché le traduzioni si pongono come questione specifica del Rinascimento (e ne cambiano nel profondo la logica).
Fra il 1494 e il 1648 si costruisce un’idea di Europa (cfr. Chabod 1959 e Hale 1993), cominciando con la nominazione stessa del continente (Piccolomini) e con la consapevolezza della sua specificità nei confronti del resto del mondo. Il Rinascimento introduce il criterio delle affinità culturali, morali, spirituali e dei costumi, identificativo dell’appartenenza al di là della religione, con caratteri specifici anche fuori dell’ambito geografico e tratti puramente «laici»: l’Europa è costituita dalla rete culturale delle sue universitates, secondo Erasmo, e dalle sue istituzioni e organizzazioni politiche, dalla necessaria molteplicità degli stati, condizione necessaria per mantenere l’equilibrio politico e assicurare la libertà ai propri cittadini (per dirla con Machiavelli, «l’Europa solamente ha avuto qualche regno e infinite repubbliche»).
La riforma protestante, con il postulato che la lingua della verità divina debba essere accessibile a tutti (con il conseguente ridimensionamento del latino nella duplice funzione, esclusiva e monopolistica, di diffusione e garanzia del testo sacro), muta radicalmente la riflessione e le pratiche che concernono la lingua della fede come lingua di verità – ma anche le forme di scrittura delle verità non teologiche (se perfino per la fede si possono, anzi si devono, usare i volgari, allora, la situazione è ancora più aperta per le verità di stampo filosofico e scientifico).
Lo sviluppo dirompente della stampa in tutta Europa con caratteristiche modernamente industriali (specialmente a Venezia, Francoforte o Lione e anche Anversa o Parigi) ha significato la più ampia e accelerata circolazione culturale di libri e autori, con inevitabili ricadute proprio sul piano della traduzione. È quasi un corollario inderogabile la assunzione di un modello linguistico unitario per le differenti lingue, la stabilizzazione di un sistema ortografico per il mercato editoriale, in definitiva della grammatica delle lingue moderne. Un altro effetto della stampa e delle traduzioni stampate è di creare potenzialmente testi nuovi che non sono solo “riproposte” di testi noti ma che pretendono immediatamente ad una loro autonomia nella veste linguistica inedita che viene data a loro.
Nel corso dei secoli XV e XVI (con gli “sconfinamenti cronologici” dovuti alla ricezione del modello rinascimentale in area inglese o spagnola) emerge un nuovo sistema delle lingue volgari, che interiorizza l’eredità umanistica (soprattutto l’eredità metodologica legata ad una concezione nuova della testualità e della filologia come storia) ma anche supera la dialettica lingua/lingue morte-lingue contemporanee in nome dell’articolazione tra l’autonomia delle singole lingue e le relazioni policentriche fra i diversi “volgari” d’Europa, ciascuno di essi lingua della letteratura, della scienza, della religione, della politica, lingua tanto scritta quanto (ormai) orale, emula e rivale di ogni altra lingua vernacolare, con cui si confronta in primis sul piano della traduzione. Le lingue dell’Europa rinascimentale sono in certa misura tutte «nuove» (sono relegate nel patrimonio della cultura antica il greco, il siriaco, l’ebraico, l’aramaico, lingue «morte» in cui non si scrive più).
Il classicismo ciceroniano e virgiliano (propugnato da Bembo e dominante a livello europeo nella prima metà del Cinquecento) garantiva il controllo formale su di un corpus esemplare, concluso e pertanto imitabile, riproducibile, assicurava stabile uniformità al latino, reintegrato nella sua forma più pura rispetto alla variante medievale, non solo lingua morta ma anche lingua in qualche modo contemporanea: il vivace latino di Erasmo ne è una riprova, non meno di sperimentazioni quali l’Hypnerotomachia Poliphili (presto tradotta in francese nel 1546, Le songe de Poliphile), fino al Sidereus nuncius (1610) di Galilei, un latino insofferente della normativa classicista, che apre già la questione di una disponibilità del linguaggio scientifico alla lingua d’uso in notazione specialistica, al di là dello stoccaggio greco-latino. La relazione fra il latino e le lingue vernacolari non si può limitare all’alternativa fra latinizzazione o rifiuto. La crescente autonomia delle lingue volgari innesca una relazione fruttuosa, polimorfa e collaborativa fra lingue antiche e moderne, secondo un regime di diglossia, di bilinguismo sempre più paritario (tanto più quanto influenzato dalle varie forme di plurilinguismo che si sviluppano in tutta l’Europa).
Questa complessità nuova e polimorfa rende possibile una pluralità di usi e di effetti delle traduzioni e rende necessario un approccio pluridisciplinare, anzi transdisciplinare, all’oggetto di studio nonché un passaggio tra logiche monografiche (case studies) e logiche sintetiche (tematiche o problematiche). Impone anche una radicale prospettiva europea allo studio, non in nome di un’apodittica scelta aprioristica di metodo, nella misura in cui risulta insufficiente la sola logica binaria che racchiude l’analisi nell’ambito di un confronto tra lingue di partenza e lingua d’arrivo e va privilegiata una visione plurilingue (che ha tra l’altro come effetto collaterale di rafforzare l’autonomia, la singolarità e la produttività culturale del testo tradotto).
Uno studio delle traduzioni pubblicate nel Cinquecento si deve articolare sull’analisi di un sistema delle lingue, della sociologia e storia dei testi stampati, della pratica della traduzione e della forma materiale del libro: tre momenti necessariamente interconnessi nella costruzione di una pratica di scrittura e di pubblicazione complessa e specifica.
In sintesi: un sistema delle lingue che pone in relazione le diverse lingue volgari di traduzione e la lingua originale, le diverse lingue volgari tra di loro, le lingue volgari di traduzione e un latino considerato a sua volta come una lingua di traduzione moderna (dato che si traduce anche in latino e non solo dal latino, come lingua terza, lingua-relais, com’è il caso, ad esempio, della versione tedesca della Storia d’Italia di Guicciardini curata da Georg Forberger e forse in parte della versione francese di Jérôme Chomedey).
Per quanto riguarda la bibliografia materiale (storia e bibliografia testuale, storia della scrittura, storia dell’editoria) i problemi riguardano il legame delle traduzioni con un pubblico di lettori ben identificabile (che si può, ad esempio, ricostruire dai paratesti: dediche, avvisi ai lettori, diversi a seconda della lingua d’uso, o dalle traduzioni parziali, stralciate dal testo originale per ragioni di censura), la specificità del processo editoriale in relazione a traduzioni a limitata circolazione manoscritta.
Per quanto riguarda le pratiche della traduzione e le forme materiali della stampa, i problemi fondamentali riguardano la precisione (a non voler dire fedeltà) delle traduzioni, il confronto di diverse traduzioni (in più lingue o di più traduzioni in una stessa lingua) di uno stesso testo, il grado di autonomia di ognuna di esse nei confronti delle altre, ossia la questione del rapporto con l’originale o con altre traduzioni. Un caso specifico è costituito dalle edizioni plurilingui (ad esempio, i Loci duo di Guicciardini editi a Basilea nel 1569 sono in francese, latino, italiano; l’edizione di Londra del 1595 aggiunge l’inglese, in una impaginazione sinottica a fronte che crea quasi un unico testo plurilingue).

Il progetto ha l’ambizione di sviluppare un nuovo modello di comprensione della trasmissione dei testi tradotti (quali testi e di quali autori vengono tradotti, con quali motivazioni, in quale quadro politico – per la nazione della lingua di partenza come per quella di arrivo – e secondo quale “gerarchia” soggettiva di lingue) e di sistematizzare la comprensione del fenomeno della traduzione nel Rinascimento, partendo dal criterio strutturale del confronto delle lingue di partenza e di arrivo dei testi tradotti, ma mettendo in correlazione l’insieme delle opere tradotte in tutte le singole lingue vernacolari.
Questo Progetto vuole avere un impatto significativo sulla storia della traduzione rinascimentale, proprio in quanto contribuisce a dare un cambio di prospettiva, non più di volta in volta monocentrica, ma contestuale e policentrica, e quindi ad essere di grande interesse nel complesso delle istituzioni di ricerca europee.
La questione dovrà ovviamente essere affrontata a partire da quelli che sono i grandi modelli della letteratura rinascimentale in Europa, Petrarca e Boccaccio. E dare preliminarmente per scontato che la diffusione e la conoscenza dell’italiano in età rinascimentale a livello europeo favoriva la lettura diretta di quelli che si riconoscono immediatamente come nuovi “classici” (si pensi alla stampa di testi italiani presso centri editoriali stranieri, per esempio alle edizioni italiane di Castiglione pubblicate a Lione fra il 1553 e il 1562; cfr. BURKE 1998).
Petrarca è tradotto presto in francese (del Canzoniere, sei sonetti per la morte di Laura attorno al 1539 da Marot, integralmente a partire dal 1555 da Vasquin Philieul; i Trionfi addirittura quattordici volte, a partire dalla versione di Georges de la Forges del 1514); più tardi in inglese (da Thomas Wyatt alcuni sonetti del Canzoniere, integralmente solo nel 1620 ad opera, quasi certamente, di John Florio; da Henry Parker (c. 1530) e William Fowler (1587) i Trionfi). Il Decameron di Boccaccio viene tradotto in francese (dopo la versione di Laurent de Premierfait nel 1414, probabilmente attraverso una traduzione dal latino, e la rielaborazione che ne fa Antoine Vérard nel 1485) nel 1545 da Anthoine Le Maçon (con altre venti versioni fino al 1597); in Inghilterra (senza parlare della fortuna e della conoscenza che ne ebbe Chaucer) solo nel 1620, quasi certamente ad opera di John Florio.
Più tarde saranno le traduzioni di Dante: di fine secolo (1586-1587), ad esempio, quella della Commedia dell’abate Balthazard Grangier. Ma pure in questo caso avrà pesato, anche a livello europeo, l’interpretazione del Bembo.
In questo ordine di problemi, il rischio maggiore è rappresentato dall’estensione (e indefinitezza, fino ad una recensio il più possibile esaustiva ma difficilmente completa) del corpus e dalla pluralità di lingue delle traduzioni. Il corpus delle traduzioni, i contesti storici, filologici, editoriali possono condizionare i risultati della ricerca, nel senso che il materiale rischia di coincidere con una larga parte della produzione letteraria rinascimentale. A questa incertezza si intende sopperire con una delimitazione areale e modalità di analisi contrastiva in sincronia e per generi, fissando alcuni programmi “intermedi” di lavoro che potranno costituire l’ossatura del lavoro finale sulla storia della traduzione e l’implementazione delle banche dati.
Il materiale che costituirà il corpus da sottoporre a indagine richiede un approccio specialistico nelle diverse aree linguistiche e multidisciplinare, con interazione di differenti tipi di competenze: storia politica, storia culturale, storia letteraria, storia della lingua, ma anche di metodi di analisi: filologia, codicologia, storia della stampa, corpora linguistics, digital humanities. I testi pubblicati in edizioni critiche affidabili sono pochi, per cui si dovrà ricorrere alle cinquecentine o ai manoscritti e pubblicarle, con il problema di differenti realtà editoriali nazionali, perdita dei testimoni, ristampe non controllate.
Le ricadute di un tale nuovo e complesso metodo di lavoro possono inoltre riguardare la semantica storica e la lessicografia interlinguistica, nello studio degli scambi di neologismi o nella formazione dei diversi lessici specialistici; o un modo differente di concepire una storia europea dei generi letterari: non più soltanto nelle singole storie letterarie nazionali ma appunto in una dimensione europea interrelata (si pensi, ad esempio, quanto le traduzioni francesi dell’Orlando furioso di Ariosto, in prosa prima e poi in versi, abbiano influito sulla nascita di un «long poëme» epico nazionale e sul tentativo di arricchire la metrica nazionale con la forma tutta italiana dell’ottava); o anche l’interesse per una rappresentazione di «geografia linguistica e letteraria» che dia immediatamente visione del trasferimento dei testi da una nazione all’altra e della cronologia di questi spostamenti.

Elenchiamo qui alcuni possibili Programmi di lavoro.

1. Catalogo dei traduttori.

1.1.
Dovrà essere un vero «dizionario bio-bibliografico» dei traduttori, articolato per lingue e nazioni, per ricostruire le singole personalità, ove possibile, le vicende editoriali (edizioni principes e ristampe, fortuna e durata delle traduzioni), valutarne la professionalità o l’occasionalità. Utili, in questa prospettiva: la collana «Histoire des traductions en langue française», in particolare Duché 2015; per la Spagna LAFARGA, PEGENAUTE 2004, 2009, 2013; per l’Inghilterra CLASSE 2000, FRANCE 2000.

1.2.
Per alcuni traduttori si procederà a studi monografici. Si danno qui alcuni nomi già in parte studiati, ma che andranno approfonditi, in particolare per generi dei testi tradotti. Fra i più rilevanti, indubbiamente Gabriel Chappuys, il più prolifico dei traduttori francesi (da italiano, castigliano, latino), uno dei primi “traduttori professionali” in senso moderno per cui cfr. BIDEAUX 2003, Dechaud 2014; sarà produttivo analizzare alcuni settori particolari (e meno studiati) come le traduzioni di predicazione e sermonalistica, di francescani quali Cornelio Musso, Panigarola, Diego de la Vega, in particolare di ambito gesuitico, Giulio Mazzarino, Giovanni d’Avila, , Frans de Costere. Ma anche: Ercole Cato, per cui cfr. ASCARI 1979, SEVERINI 2014. Alfonso de Ulloa, per cui cfr. LEPRI 2007. Mambrino Roseo, autore della maggior parte delle traduzioni italiane e delle continuazioni dei più importanti romanzi cavallereschi spagnoli. Lorenzo Franciosini, per cui cfr. DEL BRAVO 1998. Lorenzo Conti, per cui cfr. SAVELLI 1983; Blaise de Vigenère per cui cfr. SARAZIN 1992. Antoine Le Maçon. François de Belleforest.

2. Tipografi e tipografie specializzate.
Nelle varie aree alcuni editori sono più disponibili a stampare traduzioni, sia in relazione al mercato locale, sia in relazione a committenti e finanziatori, alla realtà politica. Si tratterà di valutare la portata delle edizioni di traduzioni all’interno di annali e cataloghi editoriali, ad esempio, oltre ai maggiori Giolito (cfr. BONGI, SINCERO), Giunta, quelli di Arrivabene, Bindoni, Bernardino Vercellese, Gregorio de’ Gregori, Tramezzino (cfr. TINTO 1964) per esemplificare in ambito veneziano. Punto di partenza per le edizioni italiani potrà essere http://edit16.iccu.sbn.it/web_iccu/imain.htm  da integrare con i cataloghi delle biblioteche e altre banche dati. Un’indagine specifica riguarderà le maggiori città a vocazione – per così dire – plurilingue, come Anversa, Napoli, Palermo, Praga, Parigi, Lione, Vienna. Un caso a sé stante ma ben rilevante è costituito dalle tipografie specializzate nelle edizioni in lingua straniera (escluso ovviamente il caso del latino il quale non viene mai concepito come una lingua “straniera”) non rare a Parigi, Lione o Venezia, per esempio.

3. Atlante delle traduzioni.
Nessuna traduzione è un fatto isolato, ma mette in contatto autori, traduttori, culture diverse, fattori pratici (editoria, mercato, diffusione, conservazione bibliotecaria) e si colloca, all’interno del Rinascimento, in un arco cronologico non sempre lineare, con momenti e aree di maggiore e minore concentrazione delle traduzioni (è il caso, emblematico, della Francia di Francesco I, dopo l’editto di Villers-Cotterêts del 1539). L’Atlante dovrà visualizzare una mappa, una geografia delle traduzioni (dove e cosa si traduce), le traiettorie e i percorsi delle diverse traduzioni, dei testi maggiori quanto di quelli minori (spesso solo in apparenza tali o marginali), ricostituendo un’idea di canone europeo delle traduzioni, e ricorrendo ai mezzi più aggiornati della cartografia contemporanea e delle forme di semiologia grafica che consente.

4. Ermeneutica, teoria e storia della traduzione.
Dovranno essere schedate, analizzate (e pubblicate in moderne edizioni critiche) tutte le dichiarazioni teoriche e le riflessioni cinquecentesche sulla traduzione (manca a tutt’oggi un’edizione moderna della Manière de bien traduire d’une langue en l’autre di Etienne Dolet del 1540, come anche del Dialogo del modo de lo tradurre d’una in altra lingua segondo le regole mostrate da Cicerone di Fausto da Longiano del 1556). Ma dovrà in precedenza essere fatta una ricognizione il più possibile completa degli studi moderni sulla traduzione rinascimentale (in generale e nelle differenti aree geo-linguistiche) o anche solo dei riferimenti alle questioni delle traduzioni (si pensi alla parte riservatavi nella Deffence, et illustration de la langue françoyse di Du Bellay ma anche alle posizioni in Italia di Gelli).

4.1. Le traduzioni di testi religiosi, filosofici e scientifici.
Punto centrale è la traduzione dei testi del dibattito religioso, dopo la Riforma. Non è il caso di entrare nel merito delle traduzioni bibliche (anche se dovrà essere un necessario punto di partenza) quanto in quello della diffusione in traduzione dei testi di Lutero, per il loro impatto, anche teorico (non si può prescindere dal Sendbrief vom Dolmetschen), sulle questioni della traduzione.
L’editoria, in particolare quella veneziana, è precocemente attenta a questo mercato e si appropria rapidamente del dibattito religioso. Nel 1526 Gregorio de’ Gregori pubblica la Assertionis Lutheranae confutatio di Enrico VIII con anche l’Assertio: è la prima edizione in assoluto di un’opera di Lutero, anonima perché «nessuno libro di Lutero fu pubblicato in Italia sotto il nome dell’autore» (SEIDEL MENCHI). Peraltro, quando nel 1566 Apardo de Ricci pubblicherà a Lione la traduzione dal francese del Trattato della predestinatione contra il Calvino ometterà il nome dell’autore. De’ Gregori, editore fortemente caratterizzato in senso riformista se non propriamente eterodosso, dal 1522 aveva stampato le prime edizioni italiane di Erasmo. Sempre a Venezia appaiono anonime, o attribuite a Erasmo o a Federigo Fregoso, traduzioni di operette di di Lutero di devozione popolare. Anche le traduzioni della bibbia aprono un mercato potenziale enorme in tutta Europa, e nello specifico a Venezia (Engammare): la quasi totalità delle bibbie italiane stampate fra Quattro e Cinquecento, è edita a Venezia. Nel caso dei testi connessi alla Riforma luterana, siamo in presenza di traduzioni motivate sia sul piano culturale, sia sul piano religioso, traduzioni pianificate, anche se non sempre si riesce a ricostruirne la genesi, la committenza, ad individuare gli stessi traduttori. La Riforma, che non è senza precoci simpatie nell’ambiente veneto, dà un notevole impulso alle edizioni vernacolari sia del libro sacro che dei testi dei riformatori. Si instaura così un forte legame con un pubblico di lettori ben preciso e ben identificato e anche con un nucleo di committenti e di finanziatori.
La traduzione del testo sacro, fino all’Indice tridentino si identifica con «la traduzione» tout court mettendo in ombra sia l’opera di «traduzione verticale» dei classici latini che aveva sostanziato l’Umanesimo e resterà vitale per tutto il Cinquecento, e con essa ogni riflessione teorica sulla traduzione, sia la «traduzione orizzontale» dei testi che venivano costituendo il canone delle singole letterature nazionali europee.
Ma anche testi di ambito scientifico hanno un’ampia circolazione in traduzione: si pensi al trattato di architettura di Serlio, tradotto in tedesco nel 1542, in francese nel 1545, in spagnolo nel 1552, in inglese nel 1611 o al già citato Von menschlicher Proportion di Albrecht Dürer del 1528, tradotto in latino e di qui in italiano e edito a Venezia nel 1591; alla Vita sobria di Alvise Cornaro, interpretato come un trattato di dietetica, tradotto (probabilmente per il tramite della traduzione in latino di Leendert Leys, alias Leonardus Lessius del 1613) in inglese nel 1634, in francese nel 1646; ai manuali di agricoltura, come quello di Estienne tradotto da Ercole Cato o i Secrets de la vraie agriculture del 1571, traduzione delle Vinti giornate dell’agricoltura di Agostino Gallo, editi appena due anni prima a Venezia; L’Arithmétique di Tartaglia tradotto da Gosselin o ancora traduzioni anonime come quella della Descrittione, et uso dell’ holometro di Abel Foullon edita da Ziletti a Venezia nel 1564.
Di primaria importanza, per una storia del pensiero storico-politico europeo, al di là di Machiavelli, Guicciardini, Botero, sono testi storico-politici “minori”, occasionali,; si spiegano così i Commentaires sur les gestes des Turcs da Giovio (testo fortunato, che confluisce con l’Historia de vita et gestis Scanderbergi di Marino Barlezio – a sua volta tradotta da Pietro Rocca nel 1538 – nel Commentaire d’aucunes choses des Turcs tradotto dall’ambasciatore a Venezia Guillaume Gualteron de Cengouin nel 1544)  tradotto nel 1532 e poi nel 1538, ad opera di Barthélemy Du Pré, dalla versione latina di Francesco Nigro.

4.2. La trasmissione sociale delle traduzioni.
Il Rinascimento, servendosi della stampa e fondando un’editoria come impresa economica modernamente intesa, accorda un nuovo e rilevante ruolo alla traduzione come mezzo di trasmissione sociale della cultura. Traduttori e tipografi ne hanno piena coscienza e lo dimostrano in materiali paratestuali quali frontispizi, prefazioni, lettere di dedica, informazioni e commenti esterni ai libri, offrendo anche informazioni sulla cultura materiale, sull’autocoscienza del ruolo di agenti dello scambio transnazionale e sulla portata dello sforzo dei traduttori nei confronti di un pubblico ancora in via di formazione. Si può citare, come caso esemplare di riflessione sulla questione della critica ai conservatori del latino e del greco e all’inverso dell’importanza della disseminazione sociale delle traduzioni (da testi filosofici, scientifici quanto giuridici e soprattutto religiosi) quello di Gelli.

5. Traduzione, questione delle lingue. Strumenti per tradurre.
La «questione della lingua» italiana ha un riflesso a livello europeo, nel senso che la codificazione bembiana influirà tanto sulla riflessione sulle diverse lingue nazionali quanto sul modello poetico che si definisce e formalizza nel petrarchismo. Pur variato, il modello bembiano sarà ancora operativo, attraverso Speroni, anche in Du Bellay.
Peraltro (DIONISOTTI 1967) l’italiano era la lingua più diffusa all’epoca e «la traduction fut le moyen par excellence du rapport qu’ils [les Français] entretenait avec l’Italie» (BALSAMO 1992). Guillaume Rouille, editore, tipografo e scrittore, nella lettera di dedica a Caterina de’ Medici del Discorso della religione antica de Romani di Du Choul, tradotto da Gabriele Simeoni, dichiarerà che «i letterati stranieri l’ [i.e. la lingua toscana] ammirano, et (come hanno fatto l’Ariosto, il Bembo et il Sannazzaro) ne’ i loro scritti cercano d’imitarla et in somma non si trova natione a cui non piaccia quasi ogni opera composta più tosto in Toscano, che in altra lingua». Di Bembo non si traducono le Prose (ma in Francia si tradurranno gli Asolani nel 1545, ad opera di Jehan Martin) viene invece tradotta, anonimamente, la Grammatica di Acarisio nel 1555. Per Du Bellay (La deffence, I, 6 porta il titolo «Des mauvais traducteurs, et de ne traduire les poètes») il concetto di illustrazione della lingua francese è legato non alla traduzione ma all’imitazione degli stranieri per arricchire la letteratura nazionale, di Petrarca, ma anche di Ariosto e altri “moderni” italiani. Sarà la linea che va da Oresme, Seyssel, ma soprattutto da Dolet, Sebillet, a Amyot ,a sostenere l’importanza della traduzione per una vera «emancipazione» del francese.
Contestualmente si avvia una riflessione sulla norma linguistica, sugli strumenti grammaticali e lessicografici, che ha sì la propria matrice nel modello retorico-grammaticale latino, ma più vicino nelle prime grammatiche, di Nebrija, di Fortunio, di Bembo (il terzo libro delle Prose) e Acarisio: la Grammaire italienne di Jean-Pierre de Mesmes è del 1548.
Compito di questo progetto di lavoro sarà fare una storia comparata delle grammatiche delle lingue europee, cercandone i modelli e le interazioni, e dei vocabolari, a partire da quelli latino-volgari bi- (come il Dictionaire françois-latin Robert Estienne, 1539) e plurilingui (il modello che va via arricchendosi dall’Introito e porta del 1477 al Vocabulista di volta in volta quatuor, quinque, sex linguarum o del Calepino) a quelli bilingui, come quelli francese-inglese di Palsgrave, Lesclarcissement de la langue francoyse, del 1530 o di Cotgrave (ma siamo già al 1611), francese-italiano di Fenice del 1584 e Canal 1598, inglese-italiano da Thomas, che coniuga grammatica e lessico (finalizzato alla lettura delle Tre Corone, sul modello dichiarato di Acarisio) del 1550, fino al Worlde od words di Florio, apparso prima nel 1598 e in edizione definitiva nel 1611 (ma prima ancora Florio aveva pubblicato First Fruits, 1578, e Second Fruits, 1598), italiano-castigliano di Las Casas del 1570. Ma non meno rilevanti sono le raccolte di voci commentate come i vocaboli latini, greci, provenzali, francesi, spagnoli, tedeschi inglesi, goti che Alunno inserisce nelle Le ricchezze del 1543 (anche queste un modello dichiarato per i lessicografi europei), i glossarietti che Alfonso de Ulloa mette in coda alle traduzioni dallo spagnolo, come l’Exposition nella traduzione dell’Orlando furioso di Urrea del 1556, o in edizioni italiane di testi spagnoli, come in quella della Celestina curata per Giolito nel 1553.

Le traduzioni.
Sarà in primo luogo fondamentale pubblicare criticamente le più rilevanti traduzioni, nelle diverse lingue, specialmente traduzioni letterarie (per l’impatto sull’usus linguistico nelle diverse lingue di arrivo) e specialmente di autori canonici; ad esempio, non sono riedite modernamente tutte le traduzioni di Ariosto – esemplare l’edizione di Urrea di SEGRE, MUÑIZ – che messe a confronto sinotticamente potrebbero offrire un quadro notevole dell’interesse europeo per Ariosto, per il poema cavalleresco ma anche per il teatro, aprendo una prospettiva di indagine sulle traduzioni di generi: il poema cavalleresco, la commedia, le satire. Lo stesso ragionamento può valere per le due traduzioni in italiano di Commynes ad opera di Raince e di Conti o quelle in latino del 1569, in tedesco del 1580, in inglese del 1596 o di testi di altro genere ma di larga diffusione e impatto scientifico-culturale. Si potrebbero individuare (e mettere a confronto) in questo modo diversi dispositivi di traduzione: testo T tradotto nelle lingue A, B, C, D; testo T tradotto più volte nella stessa lingua A1, A2, A3; testo T tradotto nella lingua A e poi nella lingua B a partire dalla traduzione in lingua A e non dal testo T originale.
Il momento più rilevante e nuovo della ricerca riguarderà quindi gli studi su singole traduzioni (ma anche adattamenti, plagi): analisi di tipo filologico, linguistico, stilistico, storico-culturale; analisi qualitativa e valutazione critica delle traduzioni (comprensione, precisione, fedeltà); confronto fra testo di partenza e testo di arrivo (originale-traduzione, superamento dell’intangibilità, “sacralità” del testo di partenza nei nuovi e diversi contesti culturali).
Questo Piano di lavoro comporta la schedatura di tutte le edizioni principes delle traduzioni e le ristampe, una catalogazione dei tipografi, l’edizione critica delle traduzioni, lo studio linguistico-stilistico.
In questo settore, si indicano alcuni casi specifici, particolarmente significativi. Ma i programmi potranno espandersi o limitarsi, a seconda del progresso delle analisi.

6. Le traduzioni dell’Orlando furioso e dei poemi cavallereschi
Il più tradotto degli autori italiani (e non solo) è Ariosto. La prima traduzione francese dell’Orlando furioso, in prosa, vede la luce nel 1543 per i tipi di Jean Des Gouttes. L’esistenza di una traduzione non impedisce all’editore lionese Honorat di riproporre il poema in lingua originale, dandolo alle stampe a partire dal 1556 e poi in varie edizioni successive. Nel 1556-7 riappare per Rouillé un Ariosto in italiano: l’edizione presenta anche i Cinque canti. Negli stessi anni, però, in Europa ricominciano le traduzioni del Furioso, come quella spagnola di Urrea, stampata in Francia nel 1549 proprio da Rouillé. È per inseguire il successo di mercato rilanciando la traduzione francese del Furioso che Honorat incarica Chappuys di lavorare a un aggiornamento della vecchia versione. Il contributo originale di Chappuys – nel volume contenente Roland furieux e Cinq chants, apparso nel 1576 – è perciò costituito dalla traduzione dei Cinque canti. L’Orlando furioso verrà poi tradotto in inglese nel 1591.
La Gerusalemme liberata di Tasso viene tradotta in latino, ancora vivo l’autore, da Scipione Gentili nel 1584, nel 1587 in spagnolo da Juan Sedeño, parzialmente (cinque canti) in inglese da Richard Carew nel 1594 e poi magistralmente da Edward Fairfax nel 1600, in francese nel 1595 da Blaise de Vigenère (più tardi, nel 1618, in polacco ad opera di Pietro Kochanowski).
Chappuys, immediatamente dopo Ariosto, negli anni fra il 1577 e il 1581 tradurrà a più riprese dallo spagnolo l’Amadis (preceduto nel 1550 da Nicolas de Herberay; cfr. BIDEAUX 2005) e nel 1587 Primaleon (una prima traduzione ad opera di François de Vernassal era apparsa nel 1550, un’altra, opera di Guillaume Landré, apparirà nel 1577), e anche il romanzo picaresco Guzmán de Alfarache. In Italia sarà Mambrino Roseo a tradurre l’Amadis (e a proporre numerose sue continuazioni) fra il 1546 e il 1568, il Palmerin nel 1544, il Primaleon nel 1548, Florambel de Lucea nel 1560. Da notare che l’editore di riferimento, che si dimostra specializzato nelle traduzioni dallo spagnolo, sarà a Venezia Michele Tramezzino.

7. Le traduzioni dei trattati di comportamento e d’amore.
Emblematico il caso del Cortegiano pubblicato fra il 1528 e il 1619 in oltre sessanta edizioni in lingue diverse dall’italiano: tradotto assai presto in spagnolo da Juan Boscán nel 1534 (su suggerimento di Garcilaso de la Vega), in francese nel 1537 da Jacques Colin (traduzione rivista nel 1540 da Etienne Dolet e Melin de Saint-Gelais) e poi nel 1580 da Chappuys; in inglese nel 1561 da Thomas Hoby; in tedesco prima da Laurentz Kratzer nel 1565 e nel 1593 da Johann Engelbert Noyse, anche se le traduzioni che decreteranno il successo europeo del testo saranno quelle latine (1561 Johannes Turler, 1571 Bartholomew Clerke). O quello del Galateo, tradotto in francese da Jean du Peyrat Sardaloys nel 1562 (una nuova traduzione, anonima, verrà pubblicata a Ginevra da Jean de Tournes nel 1598); in spagnolo due volte, nel 1582 da Lucas Gracián Dantisco e nel 1583 da Domingo Becerra; in latino nel 1580 da Natan Kochhaff, in inglese (ma forse per un intermediario francese) nel 1576 da Robert Peterson e sempre in Inghilterra verrà tradotto (ma pubblicato a Roma da Gigliotti) in latino da Nicholas Fitzherbert nel 1595. Notevoli prima l’edizione bilingue italiano e francese (Trattato de’ costumi […] fatto nuovamente italiano e franceze a commune utilità di quelli che si dilettano dell’una e l’altra lingua e delle buone creanze. Le Galathee faict nouvellement en italien et françois pour l’utilité de ceux qui se delecte en l’une et l’autre langue, et sont curieux de savoir toutes choses honnestes) edita a Lione da Alessandro Marsili nel 1573e poi quella quadrilingue di Jean de Tourne (accompagnando la propria nuova traduzione con quelle di Kochhaff e Becerra) pubblicata a Ginevra nel 1598.
Notevole fortuna europea ha anche la Civil conversatione di Stefano Guazzo (1574) tradotta in francese contemporaneamente (1579) da Belleforest e Chappuys, in inglese (probabilmente dal francese) da George Pettie nel 1582 (fino alla versione cèca del 1613).
Non meno rilevante è la circolazione dei trattati d’amore, a partire dagli Asolani del Bembo, tradotti in Francia da Jean Martin nel 1545. I Dialoghi d’amore di Leone Ebreo, pubblicati dal Blado nel 1535 (cfr. NARDI, DAGRON), vengono tradotti in latino nel 1564 (editi a Venezia da Francesco Senese) da Giovanni Carlo Saraceni; in spagnolo (e pubblicati a Venezia) una prima volta nel 1568 da Guedeliah ben Yahia, poi a Zaragoza nel 1582 da Carlos Montesa, nel 1590 a Madrid dall’Inca Garcilaso de la Vega; in francese da Denis Sauvage («Le ser Du Parc», traduttore nel 1550 anche della Circe di Gelli e nel 1581 dell’Histoire de Paolo Jovio) nel 1551 (con riedizioni nel 1557, 1580, 1595) e nello stesso 1551 probabilmente da Pontus du Tyard (pubblicato a Lione da Jean de Tournes e ristampato nel 1598).
Peraltro, Chappuys tradurrà Equicola (Les six livres de la nature d’amour) nel 1584 (con ristampe nel 1589 e 1598) e Niccolò Franco (Dix plaisans dialogues) nel 1579, mentre Jacques Lavardin nel 1588 tradurrà il Traité de l’amour humain di Flaminio De Nobili.
L’indagine andrà estesa ad altri trattati (indicativamente: Betussi, Domenichi, Doni, Gottifredi, Guazzo, Piccolomini, Sansovino, Speroni, Tullia d’Aragona). Cfr. MONTADON.

8. Traduzioni di testi teatrali
La traduzione di testi teatrali è condizionata dal genere (commedia – per l’Italia con la distinzione: commedia in lingua, commedia dialettale – farsa, sacra rappresentazione, tragedia, dramma pastorale, melodramma) e dal contesto ambientale delle rappresentazioni (ad es., commedia cittadina, commedia rusticale, commedia classica) ma soprattutto – come aveva presto notato Machiavelli nel Discorso intorno alla nostra lingua – dalla contrapposizione fra «una gentil compositione et uno stilo ornato et ordinato» e «quei sali che ricerca una comedia».
Un caso sintomatico proprio per la precocità è costituito dalla Celestina (l’editio princeps della versione in sedici atti, Comedia, è del 1499; quella in ventun atti, Tragicomedia, è del 1502) e dalle sue traduzioni (PACCAGNELLA). Nel 1506 viene edita a Roma la Tragicocomedia di Calisto e Melibea novamente traducta de spagnolo in italiano idioma da Alphonso Hordognez, Ordoñez (cfr. KISH). Questo testo ha immediata fortuna e viene ristampato prima a Milano (1514, 1515) e poi a Venezia (dal 1515 al 1553, con l’edizione Arrivabene del 1519 che introduce il titolo Celestina con cui la commedia avrà fama europea e addirittura con due edizioni in spagnolo, fra cui quella edita da Giolito nel 1553 con una lista esplicativa di vocaboli), traduzione e edizioni che assumono presto una funzione di tramite per la diffusione europea del testo. Nel 1520 Christof Wirschung pubblica Ain hipsche Tragedia von zwaien liebhabenden mentschen ainem Ritter Calixstus unn ainer Edlen junckfrawen Melibia genant dichiarando espressamente la derivazione dalla traduzione italiana; e ritradurrà il testo nel 1534. Nel 1527 viene pubblicata a Parigi una Celestine dichiaratamente «translate dytalien en francois» e ripubblicata nel 1529 con la stessa avvertenza (che scompare invece nelle ristampe successive). Nel 1578 compare la traduzione di Jacques Lavardin (già traduttore di Barlezio e nel 1590 di De Nobili) fatta, per sua ammissione, su un’edizione italiana. La versione francese (insieme alla traduzione italiana e all’originale spagnolo) sembrerebbero essere alla base della traduzione inglese di James Mabbe, in una prima versione (di cui si ha solo la registrazione della data, 5 ottobre 1598) come Tragick Comedye of Celestine, poi rifluita nella stampa del 1631.
La commedia italiana entrerà in Francia nel 1543 con la traduzione di Charles Estienne degli Intronati, ma l’autore di maggior successo (anche per la “regolarità” delle sue commedie) sarà indubbiamente Ariosto, di cui però si traducono solo i Suppositi (nel 1545 da Jacques Bourgeois, più un adattamento che una vera traduzione e nel 1552, La comédie des Supposez, da Jean-Pierre de Mesme come complemento della sua Grammaire italienne) e Le Negromante (nel 1573 ad opera di Jean de la Taille). In Inghilterra George Gascoigne (che tradurrà anche la Giocasta di Dolce) nel 1566 pubblica The supposes. Tre commedie di Ariosto (Necromanticus, Lena, Decepti) verranno poi tradotte in latino da Juan Pérez di Toledo, insieme agli Ingannati (Suppositi), nelle Comoediae quatuor pubblicate nel 1574.
Il modello teatrale che si impone sarà, però, quello più tardo: ne è una dimostrazione la traduzione (in due fasi, sei «comédies facétieuse» nel 1579, altre tre addirittura nel 1611) che Pierre de Larivey farà di Dolce, Nicola Bonaparte, Lorenzino de’ Medici, Grazzini, Vincenzo Gabiani, Niccolò Secchi, Girolamo Razzi, Ligi Pasqualigo.
La più marcata codificazione dei generi letterari e la precoce ripresa della tragedia in Italia da parte del Trissino (la Sofonisba viene stampata nel 1524), porta nel 1559 alla traduzione de La Sophonisbe in prosa da parte di Mellin de Saint-Gelais, in versi nel 1584 da Claude Mermet; e si inquadra nella fortuna della tragedia in Francia anche la traduzione-adattamento da Giraldi Cinzio che Jean-Édouard Du Monin farà nel 1585 (entro il suo Le Phoenix) con l’Orbecc-Oronte. Tragédie. L’Aminta di Torquato Tasso, rappresentata nel 1573 ma edita nel 1580 a Cremona e nel 1581 a Venezia, dai Manuzio, viene tradotta nel 1584 da Pierre de Brach (entro le sue Imitations, appunto «Aminte fable bocagere» e «Olimpe imitation d’Arioste») in décasyllabes, una seconda volta anonimamente (con attribuzione a Pierre Le Loyer) in prosa nel 1591; è invece un plagio la Tragi-comédie pastoralle di Claude de Bassecourt del 1594. Il successo del nuovo genere della tragicommedia pastorale, registrato nel 1576 con il Pentimento amoroso di Luigi Groto, il Cieco d’Adria, ha un rapido riflesso nella traduzione di Roland Brisset di Le Diéromène ou le repentir d’amour edita nel 1591; lo stesso Brisset due anni dopo pubblicherà Le Berger fidèle, traduzione, mista di versi e prosa, del Pastor fido di Giovan Battista Guarini.

9. Traduzioni, travestimenti, riscritture e rifacimenti
È un Programma non direttamente attinente il progetto principale, ma da cui si potranno ricavare dati utili per la storia delle traduzioni, le quali molto spesso vengono edite come opere autonome e originali dei traduttori, omettendone il vero autore, oppure producono plagi e rifacimenti «a partire da», un esempio di come la traduzione diventi opera ri-creativa e inneschi appunto il meccanismo dell’imitazione, della continuazione, del rifacimento: basti pensare alle “continuazioni” dell’Amadigi e del Palmerín fatte da Mambrino Roseo (in particolare Sferamondo).
Un esempio in questo senso è Chappuys. I suoi Mondes célestes, terrestres et infernaux sono detti «tirez» dalle opere di Doni ma in realtà sono una puntuale traduzione dei Marmi con interventi a volte eclatanti come quello del Monde des Cornuz; e anche Sansovino è un suo serbatoio privilegiato: L’Estat del 1585 omette la fonte (che non è solo Del governo et amministratione di diversi regni pubblicato dal veneziano nel 1567 ma anche Sigonio) come pure L’art des secretaires (in Sansovino al singolare: Del secretario).

 

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