Tradurre nell′Europa del Rinascimento

Translation in early modern Europe
Domains, networks, theories

PROGRAMME         ABSTRACT

Università degli Studi di Padova, 5-6 September 2022

This conference is proposed as a development of the activities of the research group ‘Translating in Renaissance Europe’ (http://www.renaissancetranslation.eu), after our previous meetings in Padua (2015), ENS Lyon (2016) and Paris 8 (2017). It aims to explore forms of and attitudes to translation in early modern Europe, focussing mainly, but by no means exclusively, on two specific cultural domains: science and religion. In so doing, rather than focussing on translations of single texts, or on translations from one language to another, we intend to retrace literary and intellectual networks, sites of cultural exchange, and broad lines of methodological development. To the study of these two domains we also associate the study of intralingual translation, as well as the study of translation theory: as translation evolves in the European Renaissance, theoretical approaches reconsider and progressively move away from the models of the classical tradition, attempt to chart changes, to experiment with evolving linguistic media, to exploit new technologies, and to develop and propose new models.

Conference languages: English, French, Italian. Each presentation shall be no longer than 25 minutes.
Please send an abstract (no longer than 400 words) and a very short bio to
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La traduzione nell’Europa della prima età moderna
Ambiti, networks, teorie

Università degli Studi di Padova, 5-6 settembre 2022

In continuità con i precedenti incontri (Padova 2015, ENS Lyon 2016, Paris8 2017) e proseguendo le attività del gruppo di lavoro «Tradurre nell’Europa del Rinascimento» (http://www.renaissancetranslation.eu), questo convegno esplora le forme della traduzione nell’Europa della prima modernità, prendendo in analisi anche gli atteggiamenti intellettuali nei confronti della traduzione. Svilupperemo tale indagine prestando particolare ma non esclusiva attenzione a due ambiti di studio: il linguaggio scientifico e il linguaggio religioso. In tal modo, piuttosto che focalizzare su un singolo testo, o sull’atto traduttivo come passaggio da una lingua all’altra, vorremmo usare questo convegno per discutere i network culturali che emergono dalla traduzione rinascimentale, per identificare momenti di scambio intellettuale, e linee di sviluppo.
Allo studio dei due ambiti scientifico e religioso vorremmo inoltre associare interventi sulle traduzioni intravernacolari in aree linguistiche vicine ed omogenee, oltre a una riflessione sul versante teorico rinascimentale della traduzione: proprio nei decenni in cui la traduzione si sviluppa nel Rinascimento europeo, possiamo notare come l’approccio teorico, dapprima semplicemente basato su una rivisitazione dei modelli classici, tenti in maniera sempre più sistematica di dare conto del mutato orizzonte culturale e linguistico, e di proporre modelli nuovi.

Lingue del convegno: francese, inglese, italiano. Ciascuna presentazione deve essere contenuta entro i 25 minuti.
Vi chiediamo di mandare un abstract (non più di 400 parole) e una brevissima biografia a
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La traduction dans l’Europe de la première modernité.
Milieux, réseaux, théories

Università degli Studi di Padova, 5-6 septembre 2022

Ce congrès entend explorer les formes de la traduction dans l’Europe de la première modernité en analysant les positions intellectuelles qui se déploient dans les pratiques de traduction et dans les réflexions sur celle-ci. L’enquête portera notamment, mais pas exclusivement, sur deux domaines de recherches : le langage scientifique et le langage religieux. De la sorte, plutôt que de nous attarder sur tel ou tel texte nous voudrions profiter de cette rencontre pour discuter des réseaux culturels qui émergent dans la traduction renaissante afin d’identifier moments d’échanges et développements singuliers. A l’approche de ces deux domaines scientifique et religieux nous voudrions en outre associer quelques études sur les traductions internes à la même aire linguistique (entre des vernaculaires proches) et quelques éléments de réflexions plus théoriques sur le traduire puisque, dans les décennies qui voient la diffusion des traductions horizontales dans l’Europe de la Renaissance, on peut constater que l’approfondissement des réflexions théoriques allant au-delà de la traditionnelle mobilisation des modèles classiques permet d’une façon plus systématique de rendre compte des mutations de l’horizon culturel et linguistique, en proposant des modèles renouvelés.

Langues du colloque : français, anglais, italien. Chaque communication doit être limitée à 25 minutes.
Pour toute proposition, prière d’envoyer un abstract (400 mots au plus) et une très brève biographie à
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Translating in Renaissance Europe. Translation and polyglossia in early modern Britain

 

Tradurre nell′Europa del Rinascimento

 

home_translationLa traduzione ha un ruolo fondamentale nella storia delle trasformazioni, rimodellamenti, relazioni intertestuali che caratterizzano la cultura europea. Per quanto paradossale è sostanzialmente vera l’affermazione di Umberto Eco che «la lingua dell’Europa è la traduzione», a patto di sfumarla con l’assunto duplice di Meschonnic secondo il quale «L’Europe ne s’est fondée que sur des traductions» e soltanto se si aggiunge che «elle ne s’est constituée que de l’effacement de cette origine toute de traduction». Nelle parole di Meschonnic si legge infatti un richiamo non solo a considerare le traduzioni ma a non dimenticare il processo secondo il quale esse sono state subordinate e sono state concepite come ancelle della letteratura, da non prendere in considerazione di per sé stesse. Tuttavia tale processo non ha prodotto paradossalmente (o non ha prodotto soltanto) una dimenticanza delle traduzioni (e dei traduttori) ma è la fonte di una tendenza forte a non trattarle più in quanto traduzioni bensì in quanto testi autonomi, contributi all’arricchirsi della lingua d’arrivo, non più concepita tuttavia come “lingua d’arrivo”, secondaria (per lo meno cronologicamente), ossia dipendente da un altro percorso che porta ad essa partendo dalla lingua originale. In una forma di omaggio non detto, o di diniego, le traduzioni risultano in questa prospettiva come dei testi “nuovi”, altrettante mura protettrici e nuove per lingue giovani e ancora fragili, ma mura di cui sono state tolte le impalcature perché non si veda più il lavorio del traduttore.
Nel corso dell’ultimo secolo si sono indagati sia traduzioni e traduttori individuali sia il fenomeno della traduzione nella sua interezza e il suo ruolo nelle singole culture europee, nella politica e nell’ideologia della costituzione dei grandi stati nazionali o delle istituzioni imperiali: si può forse sostenere che la nascita del moderno concetto di nazione, la cre    azione dello stato moderno, siano coincise con una rinnovata attenzione nei confronti della traduzione, ma non solo in nome di un’adeguazione lingua/stati. Infatti la traduzione può essere vista nel suo insieme sia come un baluardo di una cultura singolare sia come un ponte con la cultura altrui. Tale logica un po’ ossimorica ha anche avuto un suo ruolo nella costituzione lungo tutto l’800 del campo specifico della letteratura (di fronte alla retorica) e nella costruzione della figura dell’auctor moderno, la cui universalità non si fonda più sull’universalità presunta del proprio strumento linguistico.
L’inserimento e l’appropriazione di un testo da parte di una cultura diversa finisce infatti per avere rilevanti conseguenze culturali. Che si tratti o meno di un testo letterario, di un testo canonico nelle lingue classiche o nei volgari, di opere contemporanee o meno, la traduzione finisce per connotare la cultura nazionale della lingua di arrivo e si deve pertanto studiare come Übersetzungskultur, per usare un termine di Armin Frank, che definisce la traduzione non più semplicemente come un atto di omaggio ad un originale che si ritiene degno di lettura o di imitazione ma come una cosciente trasposizione in un nuovo contesto. Il sapere non ha più un’origine determinata, ma è parte di un processo in evoluzione e policentrico. Nel momento in cui le nazioni costruiscono la loro identità attraverso la lingua e il potere politico, necessitano anche di un mito fondativo, un fondamento culturale supportato da una biblioteca intellettuale in grado di proporre una forma di integrazione e assimilazione anche della cultura altrui: la creazione del mito è di fatto accompagnata da una forma di trasmissione di testi che si risolve in un’appropriazione culturale. Il paradosso è solo apparente: la nazione costruisce parte della propria identità culturale attraverso un atto di traduzione.
È solo attraverso l’analisi contemporaneamente singolare delle peculiari realtà linguistiche, delle individuali culture nazionali, e comparata in un contesto multilinguistico europeo che è possibile valutare e dare un senso più ampio delle conseguenze culturali delle traduzioni.
Gli studi sulla traduzione sono stati per molti aspetti una branca caratteristica degli studi linguistici e letterari del secolo scorso. Non è certo il caso di riassumere o riprendere alcuno di questi studi ma un punto di partenza fermo è costituito dall’affermazione che «[…] all’inizio di nuove tradizioni di lingua scritta e letteraria, fin dove possiamo spingere lo sguardo, sta molto spesso la traduzione: sicché al vulgato superbo motto idealistico in principio fuit poëta vien fatto di contrapporre oggi l’umile realtà che in principio fuit interpres, il che significa negare nella storia l’assolutezza o autoctonia di ogni cominciamento» (Folena).
Oggetto di studio su cui ci si intende concentrare non sono tanto i volgarizzamenti due-trecenteschi dai classici greco-latini nelle diverse aree linguistiche, su cui tanto lavoro è già stato fatto, o le traduzioni umanistiche (le quali presuppongono una gerarchia indiscutibile che lascia i volgari in posizione ancillare) , quanto le traduzioni cinquecentesche e secentesche, legate allo sviluppo della stampa e all’acquisita autonomia delle lingue vernacolari, in sostanza fra il declino dei volgarizzamenti (e il superamento della crisi dell’«Umanesimo latino», basato  una logica che consisteva ancora nel recupero di un patrimonio concettuale e lessicale, grazie alla traduzione dal greco in latino) e il dibattito secentesco sulle «belles infidèles», a partire da Gilles Ménage.
Il presupposto di questo progetto è il convincimento che l’unità culturale europea si costituisca in epoca umanistica e rinascimentale sulla diffusione e circolazione in traduzione di un numero tutto sommato limitato (non ovviamente minimo ma neppure enorme) di “grandi opere” di ogni nazione, un corpus di “grandi testi” in numero limitato (esemplificativamente: Cervantes, Lope, Calderon; Petrarca, Castiglione, Machiavelli, Ariosto, Guicciardini; Shakespeare, Milton; Commynes, Bodin, Montaigne; Lipsio, con possibilità di ampliamento soprattutto per aree disciplinari: storici, filosofi, artisti e teorici dell’arte), non solamente “letterari” (si pensi a testi filosofici, giuridici, di ambito latamente scientifico, o a testi artistici come il Von menschlicher Proportion di Albrecht Dürer del 1528, tradotto in latino e di qui in italiano e edito a Venezia nel 1591) ma costitutivi il canone delle diverse nazioni e lingue europee nel Rinascimento (inteso in ampia escursione cronologica fra la seconda metà del Quattrocento e – questo vale soprattutto per l’area inglese – la metà del Seicento). Con una “appendice”, che dovrebbe riguardare testi «in volgare» anche trecenteschi ma di larga fortuna rinascimentale: per un esempio di area italiana, basti pensare a Petrarca o al Decameron (tradotto in francese già nel 1414, nel 1485 e nel 1545 da Le Maçon).
Vari fenomeni di lunga durata spiegano perché le traduzioni si pongono come questione specifica del Rinascimento (e ne cambiano nel profondo la logica).
Fra il 1494 e il 1648 si costruisce un’idea di Europa (cfr Federico Chabod, Storia dell’idea di Europa, 1959 e John Rigby Hale, Civilization of Europe in the Renaissance, 1995), cominciando con la nominazione stessa del continente e con la consapevolezza della sua specificità nei confronti del resto del mondo, ad opera di Enea Silvio Piccolomini. Il Rinascimento introduce il criterio delle affinità culturali, morali, spirituali e dei costumi, identificativo dell’appartenenza al di là della religione, con caratteri specifici anche fuori dell’ambito geografico e tratti puramente «terreni», «laici»: l’Europa è costituita dalla rete culturale delle sue universitates, secondo Erasmo, e dalle sue istituzioni e organizzazioni politiche, dalla necessaria molteplicità degli stati, condizione necessaria per mantenere l’equilibrio politico e assicurare la libertà ai propri cittadini (per dirla con Machiavelli, «l’Europa solamente ha avuto qualche regno e infinite repubbliche»).
La riforma protestante, con il postulato che la lingua della verità divina debba essere accessibile a tutti (con il conseguente ridimensionamento del latino nella duplice funzione, esclusiva e monopolistica, di diffusione e garanzia del testo sacro), muta radicalmente la riflessione e le pratiche che concernono la lingua della fede come lingua di verità – ma anche le forme di scrittura delle verità non teologiche (se perfino per la fede si possono, anzi si devono, usare i volgari, allora, la situazione è ancora più aperta per le verità di stampo filosofiche e scientifiche).
Lo sviluppo dirompente della stampa fra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento in tutta Europa e con caratteristiche modernamente industriali (specialmente a Venezia, Francoforte o Lione – forse anche Anversa o Pargi) ha significato la più ampia e accelerata circolazione culturale di libri e autori, con inevitabili ricadute proprio sul piano della traduzione. È quasi un corollario inderogabile la assunzione di un modello linguistico unitario per le differenti lingue, la stabilizzazione di un sistema ortografico per il mercato editoriale, in definitiva della grammatica delle lingue moderne. Un altro effetto della stampa e delle traduzioni stampate è di creare potenzialmente testi nuovi che non sono solo “riproposte” di testi noti  ma che pretendono immediatamente ad una loro autonomia nella veste linguistica inedita che viene data a loro.
Nel corso dei secoli XV e XVI (con gli “sconfinamenti cronologici” dovuti alla ricezione del modello rinascimentale in area inglese o spagnola) emerge un nuovo sistema delle lingue volgari, che interiorizza l’eredità umanistica (soprattutto l’eredità metodologica legata ad una concezione nuova della testualità e della filologia come storia) ma anche supera la dialettica lingua/lingue morte-lingue contemporanee in nome dell’artiolazione tra l’autonomia delle singole lingue e le relazioni policentriche fra i diversi “volgari” d’Europa, ciascuno di essi lingua della letteratura, della scienza, della religione, della politica, lingua tanto scritta quanto (ormai) orale, emulo e rivale di ogni altra lingua vernacolare, con cui si confronta in primis sul piano della traduzione. Le lingue dell’Europa rinascimentale sono in certa misura tutte «nuove» (sono relegate nel patrimonio della cultura antica lingue come il greco, il siriaco, l’ebraico, l’aramaico, lingue «morte» in cui non si scrive più).
Il classicismo ciceroniano e virgiliano (propugnato da Bembo e dominante a livello europeo nella prima metà del Cinquecento) garantiva il controllo formale su di un corpus esemplare, concluso e pertanto imitabile, riproducibile, assicurava stabile uniformità al latino, reintegrato nella sua forma più pura rispetto alla variante medievale, non solo lingua morta ma anche lingua in qualche modo contemporanea: il vivace latino di Erasmo ne è una riprova, non meno di sperimentazioni quali l’Hypnerotomachia Poliphili (presto tradotta in francese nel 1546, Le songe de Poliphile), fino al Sidereus nuncius (1610) di Galilei, un latino insofferente della normativa classicista, che apre già la questione di una disponibilità del linguaggio scientifico alla lingua d’uso in notazione specialistica, al di là dello stoccaggio greco-latino.
La relazione fra il latino e le lingue vernacolari non si può limitare all’alternativa fra latinizzazione o rifiuto. La crescente autonomia delle lingue volgari innesca una relazione fruttuosa, polimorfa e collaborativa fra lingue antiche e moderne, secondo un regime di diglossia, di bilinguismo sempre più paritario (tanto più quanto influenzato dalle varie forme di plurilinguismo che si sviluppano in tutta l’Europa).
Questa complessità nuova e polimorfa rende possibile una pluralità di usi e di effetti delle traduzioni e rende necessario un approccio pluridisciplinare, anzi transdisciplinare, all’oggetto di studio nonché un passaggio tra logiche monografiche (case studies) e logiche sintetiche (tematiche o problematiche). Impone anche una radicale prospettiva europea allo studio, non in nome di un’apodittica scelta aprioristica di metodo, nella misura in cui risulta insufficiente la sola logica binaria che racchiude l’analisi nell’ambito di un confronto tra lingue di partenza e lingua d’arrivo e va privilegiata una visione plurilignue (che ha tra l’altro come effetto collaterale di rafforzare l’autonomia, la singolarità e la produttività culturale del testo tradotto).
In questo quadro prende tutto il proprio signifcato l’assunto di Meschonnic, ricordato pirma, secondo il quale «l’Europe (…)  ne s’est constituée que de l’effacement de cette origine toute de traduction», dove è da leggere un invito a guardare non solo alle traduzioni ma a privilegiare il processo secondo il quale esse sono state subordinate alla letteratura; un processo che da un lato ha portato paradossalmente a porre in secondo piano traduzioni (e traduttori), dall’altro invece ha sviluppato una forte tendenza a non trattare più le traduzioni «in quanto traduzioni» ma come testi autonomi, un modo di arricchire una «lingua d’arrivo» che però non è più concepita come lingua secondaria (almeno cronologicamente): in una forma di omaggio implicito (e anche di diniego), le traduzioni risultano in questa prospettiva come dei testi “nuovi”, altrettante mura protettrici e nuove per lingue giovani e ancora fragili, ma mura di cui sono state tolte le impalcature perché non si veda più il lavorio del traduttore (per restare nella metafora di Meschonnic).
Uno studio delle traduzioni pubblicate nel Cinquecento si deve articolare sull’analisi di un sistema delle lingue, della sociologia e storia dei testi stampati, della pratica della traduzione e della forma materiale del libro: tre momenti necessariamente interconnessi nella costruzione di una pratica di scrittura e di pubblicazione complessa e specifica.
In sintesi: un sistema delle lingue (lingue volgari ma anche il latino post-umanistico come lingua viva, almeno al livello scritto) che pone in relazione le diverse lingue volgari di traduzione e la lingua originale, le diverse lingue volgari tra di loro, le lingue volgari di traduzione e un latino considerato a sua volta come una lingua di traduzione moderna (dato che si traduce anche in latino e non solo dal latino, come lingua terza, lingua-relais, com’è il caso della versione tedesca della Storia d’Italia di Guicciardini curata da Georg Forberger  e forse in parte della versione francese di Jérôme Chomedey).
Per quanto riguarda la bibliografia materiale (storia e bibliografia testuale, storia della scrittura, storia dell’editoria) i problemi riguardano il legame delle traduzioni con un pubblico di lettori ben identificabile (che si può, ad esempio, ricostruire dai paratesti: dediche, avvisi ai lettori, diversi a seconda della lingua d’uso, o dalle traduzioni parziali, stralciate dal testo originale per ragioni di censura), la specificità del processo editoriale in relazione a traduzioni a limitata circolazione manoscritta.
Per quanto riguarda le pratiche della traduzione e le forme materiali della stampa, i problemi fondamentali riguardano la precisione (a non voler dire fedeltà) delle traduzioni, il confronto di diverse traduzioni (in più lingue o di più traduzioni in una stessa lingua) di uno stesso testo, il grado di autonomia di ognuna di esse nei confronti delle altre, ossia la questione del rapporto con l’originale o con altre traduzioni. Un caso specifico è costituito dalle edizioni plurilingui (i Loci duo di Guicciardini editi a Basilea nel 1569 sono in francese, latino, italiano; l’edizione di Londra del 1595 aggiunge l’inglese, in una impaginazione sinottica a fronte che crea quasi un unico testo plurilingue).